sabato 12 giugno 2010

la mia piccola storia da gennaio a giugno 2010... a ritroso

LA CULTURA SI NASCONDE NEI POSTI PIù IMPENSATI

passeggiata sul molo, domenica tarda mattinata.

spingo il passeggino facendomi strada tra un passante e l'altro (io corro sempre, è più forte di me), famigliole con bimbi schiamazzanti, coppie di giovani e coppie di anziani che tubano, il solito maratoneta della domenica, il solitario sconsolato, la vecchietta vestita a festa, quelli con le braghette che corrono alla piscina all'aperto e quelli con le cuffiette in testa che camminano a tempo di musica ondeggiando qua e là.

eppoi, sorpresa delle sorprese, un anonimo marinaio, appoggiato ad un gazebo informazioni dice con tono sostenuto ad una ragazza un po' sciatta, con le ciabatte sfondate
" io non credo nella funzione demagogica dell'arte, e nella sua fruibilità intrinseca..."

per lo shock freno bruscamente la mia corsa e rimango qualche secondo inebetita a guardare l'orizzonte.


MADAMA RICOTTINA

madama ricottina camminava baldanzosa per la via, con la sua bella forma di ricotta fresca fresca sulla testa.
ed ogni passante che la incrociava le diceva “buongiorno madama ricottina, come siete bella questa mattina” e lei tutta grata rispondeva con un sorriso e un inchino.
” buongiorno madama ricottina, come siete bella, dove andate stamane?” “vado al mercato a vendere la mia ricotta” e così dicendo faceva un altro piccolo inchino.
” buongiorno madama ricottina, ma che bella forma di ricotta avete questa mattina” e giù un altro inchino.
madama ricottina, sempre più lusingata dai complimenti e dai saluti, aveva già elargito sorrisi e inchini a mezzo paese quando arrivò al mercato e appoggiò la forma a terra.
ma della ricotta non c’era più nemmeno l’ombra, caduta di qua e di là tra un inchino e l’altro!


AMORE

La donna seduta al tavolino del bar all'aperto, con gesto lento e fluido porta una forchetta con della carne alla bocca della donna seduta accanto.

guardo incuriosita costeggiando le transenne colorate del bar.

la donna con la forchetta in mano ha gli occhi che brillano e un sorriso schiuso sulle labbra.
emana dolcezza e devozione.
la donna che riceve il cibo ha gli occhi chiusi ed è seduta abbandonata allo schienale della sedia.
apre la bocca e la richiude morbida.

penso, quanto amore.

dopo un attimo ho percorso anche l'ultimo tratto di transenna del bar e vedo che la seconda donna ha le braccia stranamente avviluppate al busto e che siede su una sedia a rotelle.

penso, quanto amore, per la vita.


ISOLA MIA

la magia dell'arrivo all'alba.
mollare la borsa su un'ape di un amico.
camminare lenta sulle stradine bianche strette tra case e muretti.
essere investita da profumi inebrianti e rimanere stordita per ore.
e sentirsi così, un po' donna, un po' sirena, un po' cucciolo di balena.

stromboli.


RINASCITA

ce la farò.
te lo prometto.

me lo prometto.


UNA DONNA COSì NON è UNA DONNA

(apro la mia bocca davanti allo specchio in un ghigno feroce, scopro i denti superiori e gli occhi diventano piccoli e infuocati.)

sono una tigre.

(assaggio l'aria. le mandibole spalancate, i nervi del collo tirati.
la tensione si trasmette alle spalle, alle braccia, alle mani, alle unghie.)

sono l'urlo e sono la donna ferita.
sono il respiro rotto e sono il pianto.
sono tutto e sono il vuoto.
(un ventre concavo riempito di nulla.)
sono la donna che si contorce e sono il cavallo imbizzarrito.
sono la schiava e sono la serpe.

impazzisco di dolore... (dolore per che cosa? per chi?)

sono la pazzia e sono la penna.
sono l'inchiostro e sono la caverna.
sono la candela e sono la madre.
sono la figlia e sono il silenzio.

sono la resurrezione e sono la pace.
sono la quiete e sono l'onda.
sono la distanza e sono il sogno.

sogno di sognare me che sogno dentro il sogno.
abbiate misericordia.
una donna così, non è una donna.


VITA

C'è che oggi ho una pena sottile nel cuore.
una lingua di dolore che arrotola lenta la mia anima.
c'è che sento questo peso lieve, nonostante il sole.

e un ricordo che affiora davanti agli occhi.

me giovane, confusa e bella.
bella e inconsapevole, piena di sogni, di risate e di malinconie cupe.

io giovane studentessa di conservatorio alle prese con una materia difficile, ma inevitabile: armonia complementare.

eppoi c'è questo professore rotondo come un mondo, ridente e fumoso, sempre con la pipa in mano o tra le labbra.
questo professore gentile e pittore, che mi ha lasciato tra le righe del quaderno pentagrammato un disegno di un omino che deve decidere quale porta prendere per andare o di qua, o di là.
uno schema semplice per una regola difficile di armonia.

c'è questa sera di inverno fredda e buia.
nel grande conservatorio, a quest'ora irrealmente silenzioso, non circola quasi nessuno. due bidelli, due professori, tre studenti smarriti. il bar con i pavimenti lavati da poco.
in classe in pochi. cinque.
riccardo era mio compagno di banco e compagno di lezioni di arte scenica.
simpatico e in carriera. un giovane cantante molto dotato.

c'è che quella sera avevo in testa la musica dello spettacolo che stavo provando con la mia compagnia di attorimusicisti.
c'è che quella sera ero allegra e spiritosa e l'ultima ora di lezione stava volando via perfetta.

c'è che fuori dal conservatorio una donna minuta e silenziosa attendeva il suo uomo.
nel freddo dell'inverno milanese, accanto allo stipite, dritta e stretta nel cappotto -chissà quante volte avrà atteso la fine delle lezioni per accogliere il marito, stanco affamato e per accompagnarsi a casa. a vicenda-.
c'è che potrei sentire le loro voci pacate, i sorrisi rubati dal posto del guidatore, a quello del passeggero.

c'è che ad un certo punto il professore fa una domanda a riccardo che diligente risponde a tono.
c'è che il professore non replica e qualcosa suona stonato nell'aria. si rompe il ritmo naturale delle cose. un silenzio di troppo.
la nostra attenzione si getta sul professore che cade addormentato improvvisamente sullo schienale della sedia. la pipa rotola dalle mani e sbatte dura a terra. la testa ciondola irreale sulla spalla.

un altro silenzio di troppo e riccardo che sbuffa con un mezzo sorriso, ecco ho detto la solita sciocchezza...
ma questa reazione del professore continua ad apparire sempre più stonata e grottesca.
professore, professore, si sente male?
professore...

c'è che riccardo ed io schizziamo in piedi e corriamo fuori dalla stanza a chiedere aiuti. scomposti spaventati.

c'è che ricordo la corsa lungo i corridoi semibui. c'è che ricordo la paura e l'impotenza.
due o tre persone sono accorse e hanno raccolto il professore. inerte. altrove.

una ambulanza è stata chiamata.
e persone che si affollavano attorno al professore e facevano cose.
c'è che ad un certo punto questo uomo immenso, rotondo, buono, che sapeva di pipa e dipingeva sui quaderni di musica ha liberato la vita.
lì, davanti a noi ragazzi, spaventati e stregati.
un soffio ruvido e potente. uno spasimo surreale. enorme.

c'è che questa donna minuta e triste era fuori dal portone, sulla piazza.
c'è che si è vista passare accanto gli infermieri dell'ambulanza, e l'agitazione che si era creata tra chi c'era all'interno.
c'è che questa piccola donna era lì, all'esterno, e non sapeva che da quell'istante sarebbe rimasta sola. per sempre.


IL NANONANO

a volte capita che il mio lavoro mi porti in luoghi proprio particolari.
ieri sera ero a roma, per esempio e ho cantato per una presentazione di un progetto di una opera musicale su un famosissimissimo pittore ad una cena di gala.
certe cose, se non sei abituato fanno un po' specie. per esempio i paparazzi, gli scatti frenetici, i capannelli di gente attorno al vip di turno.

la pianista ed io un po' schiacciate da cotanta mondanità ci siamo apprestate ad iniziare la nostra esecuzione.

ho girato la testa facendo una panoramica sul mio pubblico e tutto sulla sinistra ho scorto il re dei watussi in persona!

non ho potuto trattenere una risatina che ha storpiato la mia prima nota:
il ministro brumbrum è alto quanto mio figlio di due anni e mezzo!

vedere per credere!





ahi ahi ahi! sono stata spaparazzata anche io!

http://www.dagospia.com/rubrica-5/cafonal/articolo-15175.htm

chi mi trova vince un premio!


DI NOBILI PROPOSITI

con una tazza di tisana in mano penso:
" ah, no. oggi non ci metto il miele -io che vivrei solo di miele e lo metterei pure nei calzini-
che voglio stare attenta alla linea, fra poco arriva l'estate e devo superare alla grande la prova bikini".

questo nobile pensiero si adagia sui miei tre neuroni, che appagati da cotanta fermezza di spirito, non si accorgeranno della fettazza di pane e marmellata di pere e cioccolata che accompagnerà la mia salutisticissima tisana senza zucchero.


SENTO LE VOCI

sono lì.
come un ronzio di fondo.
certo, a cui non posso dare retta tutti i momenti, ma loro, le voci, mi aspettano, tranquille e costanti.
per essere sinceri non sono voci, ma è musica.

sento la musica girarmi in testa.
quando mi sveglio la mattina. quando faccio colazione o prendo l'autobus.
mentre scrivo, mentre racconto una favola a N., quando lo porto in spalletta fino a casa.
spesso non le ascolto e le lascio fluttuare libere. talvolta, invece, le ascolto.
e quando le ascolto non posso sottrarmi all'istinto di aprire la bocca e dare loro una vera voce e un corpo.

per questo canto sempre, ovunque, per strada, sull'autobus, mentre leggo una favola a N., mentre mangio (ma lo faccio dentro di me, silenziosamente, altrimenti a casa mi prendono per matta, che loro sta storia delle voci mica la sanno).

canto melodie inventate, o canzoni della mia infanzia elaborate in mille complicatissime variazioni.
o semplicemente canto fino allo sfinimento ciò che sto studiando in quel dato periodo.
non sono mai sola, con la mia moltitudine di voci in testa.

quando formulo un pensiero, esso, già alla nascita non ha una forma lineare pensiero-parola, no, magicamente la linea diventa una chironomia, un disegno nell'aria, un ghirigoro sonoro fatto di musica-parola.
la mia musica in testa è anche un dipinto astratto immaginario che si srotola felice davanti ai miei occhi.

penso in musica.
parlo in musica.
sogno in musica.

eppure.
non ho mai desiderato trascrivere la mia musica su un foglio di carta.

solo ultimamente ho pensato ad una melodia dal ritornello sfiancante e ripetitivo.
questa la trascriverò presto.
e il prossimo anno, lo giuro, ci vincerò sanremo.


FELICITà

viaggiavo su un autobus afoso e improvvisamente mi è venuta voglia di partorire.

giuro che non ho fumato nulla, anzi non fumo proprio.
e che non ho trincato più del dovuto, anzi sono astemiaommioddioperddavvero?

ma lì, in piedi, sballottata dall'autobus con una mano appoggiata sulla pancina di N perchè non cadesse, ho ripensato al mio primo e unico parto e ho avuto voglia di farlo ancora e ancora e ancora.

voglia di sentirmi vera e unica e forte e assoluta.
voglia di urlare senza freni. voglia di buttare fuori rabbia e dolore.

desiderio di vita. di espansione. di bellezza.
inchini alla vita e sorrisi colmi di gratitudine.


NON C'è DA ESSERNE FIERI

mannaggia a me e a quando ho proposto di scrivere una avventurella accadutami qualche tempo fa a proposito di un idraulico...

dunque.

una mattina qualsiasi di un giorno qualsiasi.

qualcuno si attacca al campanello della porta di casa relativamente presto e pigia pigia pigia.
dopo cinque minuti ritorna la quiete.
apro un occhio cisposo. poi lo richiudo pigramente cercando di riprendere il sonno appena perduto.

per decenza, dopo un'oretta mi alzo e decido di iniziare la mia giornata qualsiasi di un giorno qualsiasi.

mi ricordo della scampanellata e aspettandomi qualche comunicazione gravissima appesa alla porta vi trovo giusto due righette scritte a mano "stiamo facendo lavori nella tubatura del bagno al piano di sotto. non tirate lo sciaquone del water. grazie".

a chi non è successo di dover sottostare a ordini di questo tipo impartiti da idraulici che fanno lavori da qualche parte nel vostro palazzo?

bene.
urlo a squarciagola a colui che sta ancora dormendo di non usare il baaagnooooo e vado a fare colazione.

tutto procede nella norma fino a che
ahi ahi
che faccio, la tengo, non la tengo
ahi ahi
ho deciso. la faccio e poi aspetto.

ore undici circa.
in bagno tutto tace. nessun rumore di martelli, seghe, flessibili da almeno un'ora.
avranno finito. dico io.
eppoi, come si fa a lasciare lì, in bella vista quel prodotto così poco edificante!
prima o poi qualcuno verrà in bagno dopo di me e alzando l'asse troverà la sorpresa.
no no no.
ma siamo matti!
via di qui prodotto infame delle mie viscere!
scwuuuum!

ma, ahimè, non passa neanche un nano secondo che sento tuonare per tutto il palazzo
" MA POOOORCA PUTTTTX@@Xx... CHI è QUEL DEFFFfxx^^ì """ °## COME CAAAA##òò SI FA AAAAA"
(e chi più ne ha più ne metta)

per poco non cado per terra. bocca aperta in una espressione bovina. occhi sbarrati investiti dalle immagini più cruente.

spero sia finita lì. con l'urlo.

invece no.
l'urlo ha gambe. buone gambe che corrono.
le sento sbattere una porta e salire in tumulto le scale.
l'urlo, ahimè, ha anche dita incazzate che si attaccano al campanello.
e lì vi rimangono.

io.
io ho visto me stessa su una spiaggetta deserta, naufragata da tempo immemore, vestita di foglie di banano a godermi il sole e il caldo. e magari anche con venerdì scodinzolante tra i piedi (se faccio una fantasia, meglio fornirla di optionals, vah).

invece no.
sono lì.
e ho appena fatto una cosa terribile.

la mia coscenza è lacerata dall'indecisione.
apro o non apro la porta?
confesso o non confesso?

sono troppo una ragazza per bene e con la faccina più compassata e penitente possibile apro la porta di casa.

eeeeeeh...
spettacolo!

laralaralallarala! laralararallalara!
mi immagino anche la musichetta che prende per il culo (appunto) questo topico momento che mai nella vita avreste voluto vivervi!
siori e siore ecco a voi l'idraulico!
larallarallarala! larallaralara!

noooo. lo spettacolo è devastante.
un omone enooorme incazzato come una biscia, pronto a strangolare il colpevole mostra in bella vista una maglietta bianca linda linda, tranne... ma che è quella cosa, quella colata sulla spalla che scende fino all'anca?
non sarà...?

sicchesarà!
signora mia, è tutta roba tua!
essì, perché non era nemmeno una produzione di quelle che ti alzi e dici, bel lavoro, brava, ben fatto!
no no.
avevi anche un po' di mal di panza e chissà, forse il minestrone della sera prima aveva un po' accellerato le cose.

e quindi, insomma, io sono diventata bianca rossa verde blu prima di accasciarmi sulla porta e balbettare incomprensibili parole di scusa.
lui vedevo bene che frenava l'ira, ma mi avrebbe spiaccicata al muro. me e la sua maglietta.
con il padrone di casa che da dietro continuava ossessivamente a ripetere ora dovrò pulire tutto il bagno ora dovrò pulire tutto il bagno ora dovrò pulire tutto il bagno ora dovr...

dopo essermi zerbinata-prostrata-genuflessa-pentita-fustigata-mangiata una manciata di chiodi-leccata il pavimento senoncchè le scarpe puliissime dell'idraulico, i due hanno avuto il buon cuore di girare i tacchi e ritornare alle loro pulizie (ahimè).

ma io.
io scioccata come non mai sono rimasta lì pietrificata a rivedermi tutta la scena migliaia di volte.

in quel momento colui che fino ad un attimo prima aveva dormito beatamente due stanze più in là, ignaro di tutto sbadigliando mi guarda e mi dice serafico " ehi, ma chi era alla porta?"



per la cronaca.
il padrone dell'appartamento di sotto è un vecchio galletto spelacchiato che quando mi incrocia per le scale fa sempre il tronfietto con il sorrisetto di colui che sicuro di sè ti dice con lo sguardo ammiccante "ehi bella tusa, sai cosa ti farei io. ti girerei come un panino e ti spargerei di maionese dentro e fuori e poiiii gnam!".

da quando è successo che ho fatto la pupù in testa al suo idraulico preferito, il panzone frustratone non mi guarda più. anzi non mi saluta nemmeno.
ci incrociamo, io tengo lo sguardo basso, lui grugnisce qualcosa ed io nella mia testa sento ripetere ossessivamente " ora dovrò pulire tutto il bagno, ora dovrò pulire tutto il bagno...".

accidenti. basteranno dieci anni di analisi per superare lo shok?


IL LATO COMICO DI UN PARTO

il 2008 è stato anno bisestile ed io, guarda un po', avevo la scadenza esattamente il 29 febbraio.
Data che ci aveva lasciato piuttosto preoccupati per il nascituro, ma accolta infine con affetto ed allegria per la memoria di un illustre compositore: Gioachino Rossini, nato a Pesaro il 29 febbraio 1972.

a quindici giorni esatti dalla data presunta, io, che ero volutamente rimasta all'oscuro dagli eventi del parto, allattamento, annessi e connessi, riesco in qualche modo atletico a vedermi le gambe e a inorridire per i cinque mesi o più di pelo trascurato.

decido che una puntatina dall'estetista prima del grande evento gioverebbe alla mia femminilità, già lungamente massacrata dagli ultimi mesi di gravidanza.

così, giovedì pomeriggio 14 febbraio ore 18 mi presento puntuale in jeans (ma si può???!!!) dalla gentile estetista che quando mi vede arrivare baldanzosa ed enoooorme accende una luce allarmata nel proprio sguardo.
mi porge una mutandina di carta usa e getta e mi indica il camerino in cui attenderla nuda dalla cintola in giù.

inizio la complicata azione di sfilarmi i maledettissimi jeans (ma prima, come sono riuscita a infilarli??) e pigio di quà, mi appoggio di là, stringo su e mollo giù.
dopo una sudata senza pari eccomi lì, nuda, con in mano quel repellente oggetto di carta usa e getta che guardo piena d'infelicità: ancora una operazione complicatissima, prima di potere finalmente liberarmi dei peli superflui, che ormai fluttuano -loro- felici sulle gambe gonfie e pesanti che mi ritrovo!

ma ecco che tentando una manovra azzardata accade che sento colare qualcosa di caldo sulle gambe fino al pavimentoi.
qualcosa di trasparente e così caldo che subito non capisco, ma poi!
oh my gooood!
ho rotto le acque!
panico.
che faccio?
con un filo di voce che nemmeno io riesco ad udire chiamo la gentile estetista:" mi scusi, signora, mi scusiiiii! ehm... io credo... ehm... penso, forse, dovrei aver rotto... ehm.. le acque... ehm... aiutooooooooooooo"

panico diffuso in tutto il locale.
la mia gentile estetista pallida come uno straccio delega ad una collega il primo aiuto, perché lei, beh, lei di figli non ne ha mica mai avuti!

viene chiamata l'ambulanza e vengo aiutata a rientrare nei pantaloni (maledetti!) mentre io cerco il marito che da bravo corre subito nel luogo del misfatto.

mi caricano sul veicolo di soccorso e mi sento così feliceeeee; e chi pensava al parto, finora non avevo sentito mica nessun dolore!

ma aspetta un attimo... 14 febbraio, san valentino... noooooooo! che data per far nascere un maschietto!

ti prego, san valentino che sei nei cieli, sii clemente e pio, se questa è la punizione divina per aver da sempre ignorato la tua esistenza e sfottuto gli sciocchi festeggiatori di questa inutile festa, ti chiedo umilmente di preservare mio figlio da questa nascita così poco gloriosa e fausta...

che dire, il parto è stato poi lungo e doloroso. il piccolo è nato DUE giorni dopo ed io ero alla fine così stanca ma così stanca che non mi sono nemmeno accorta dei miei pelacci lì in bella vista per tutti.

mi rimarrà sempre il dubbio... se non fossi andata dall'estetista con velleità da top model, avrei mai rotto le acque quel giorno?
sarebbe riuscito mio figlio a nascere il 29 febbraio di anno bisestile?
non lo saprò mai!


beh, buon parto a tutte!!!!



p.s. un giorno racconterò come, partorendo, ho urlato talmente forte che ho mandato in blocco la mandibola, riuscendo così a "sistemare" un annoso problema di apertura della bocca che per una cantante è una bella iettatura.
mah...
povere donne...
se gli uomini sapessero...


NEBBIE

Un pomeriggio salì dal mare una nebbia densa come ovatta.
Scesi in spiaggia, sola.
I miei passi muovevano verso la riva attraverso banchi lattiginosi come nuvole grevi.
Intuivo il mare senza vederlo.
Il rumore della risacca mi guidava lenta alla meta.
Il silenzio sordo della nube riempiva il cuore di materia nera.

Ero adolescente e infelice.

Avrei dato la vita per condividere quell'attimo con un amore leale.
Avrei affidato le mie scarpe e mi sarei lasciata scivolare nell'acqua.
Lontana, sempre più lontana...


FARE MUSICA

la vita ricomincia a prender vita.

lentamente.

come svegliarsi da un letargo non voluto, ma necessario.
e ricominciare le cose che si facevano, prima.
ora si tratta di un Requiem.
Mozart.

in realtà è un po' come ricominciare.
il lungo dormire pare avere cancellato tutto quello che c'era già stato.
e si riparte da zero.
dai cori di provincia, le orchestre rimediate. le occasioni cittadine.
non c'è da guadagnare molto.
ma ora qualsiasi cosa arrivi è accolta con amore e stupore.

ho bisogno di questa ripartenza.
ho bisogno di essere coinvolta.
chiamata. cercata.
troppo tempo sono rimasta in casa a contemplare le nuvole rincorrersi dalla finestra che dà sulla piazza.

questa nuova ripartenza ha cancellato la memoria dei teatri importanti e dei musicisti dai nomi altisonanti con cui ho lavorato.
l'odore di questa rinascita è di chiesa piccola sconsacrata di provincia. fredda, male illuminata.
ed io, che mi sento di nuovo una debuttante tremo quando sta per arrivare il mio momento.
non conosco nessuno accanto a me e non gioca nemmeno a mio favore l'essere stata adottata da poco tempo da questa città.
sono una sconosciuta senza storia, senza passato.
apro la bocca e mi gioco tutto in un attimo.
per questo tremo.

anche fisicamente va male.
sembro una bambina che gioca a far la solista.
e ci riesce male, nel gioco.
non importa.
cado e mi rialzo.

eppure.

eppure ad un tratto si apre il cuore.
non ha senso quello che sto pensando.
non ha senso quello che sto sentendo.
la musica è ben oltre i miei pensieri limitanti, le mie paure e la mia arroganza.

(ricordo precisamente che la sera del mio debutto in Scala, a casa, dopo lo spettacolo e dopo i festeggiamenti, in piena solitudine ho pianto a singhiozzi disperati perché ho avuto la precisa intuizione che, nonostante la gratificazione di quello che avevo appena fatto, non ero arrivata a nulla. non ero nulla, non avevo nulla. la mia lotta non era cambiata. ed io ero sempre la stessa. Scala o non Scala. con le mie paure, con le mie sconfitte e le mie vittorie.)

sono la fortunata che questa sera canta Mozart. il Requiem.
e smetto di tremare.
chiudo gli occhi e mi abbandono.

nella vita so fare questo.
cantare.

ben venga la mia ripartenza.
porterò questa mia lotta dentro il mio canto.
porterò la fatica, il dolore, l'attesa, il rimpianto, la negazione.
e porterò la bellezza, l'amore. la gioia, il sorriso, la speranza.

nella vita so cantare.
e non smetterò mai di farlo.
perchè ora so che posso cantare anche con uno sguardo. con una idea. con i gesti. con l'affetto.

la voce, in fondo, è la cosa meno importante di tutte.



MADRITUDINE

una signora di fronte a me, che cammina lenta lenta a braccetto di un'altrettanto lenta signora, dice seria alla sua accompagnatrice:

"sono troppo vecchia... sono troppo vecchia per un figlio così vecchio. credimi, è arrivato il momento che mi ritiri, che mi spenga, che smetta di dare fastidio alla mia famiglia..."
" ma che cosa triste dici, i bambini non smettono mai di avere bisogno della loro mamma! la mia bambina ha 59 anni - naturalmente la chiamo bambina ma non lo è più (meno male, dico io) - e lei ha sempre bisogno della sua mamma..."

in quel momento le sorpasso e mi giro appena quanto basta per guardarle in viso.

non sono affatto anziane - certo, lo sono - ma sono belle tutte e due. il viso rotondo, la pelle lucida e chiara.

mi sfugge un sorriso.

non avevo mai pensato che dopo essere state madri e zie, e con gli anni nonne e bisnonne, in verità non si smette mai di essere madri.
madri con bambini di 59 anni che corrono loro incontro per ripararsi e confortarsi, per cercare quell'attimo di pace che solo abbracciati alla gonna della madre possono trovare.



DOLCEZZA

Mi sento così,
un po' il papà e un po' la bimba,
cullata da questa musica magica...


http://www.youtube.com/watch_popup?v=zrJlcBXAKkA


UN LUNEDì DA LEONI

sveglia alle 5.45.
nel silenzio più totale denti, doccia, colazione, borsa, abito, cappotto, telefono e spartiti.
via, in stazione con un taxi.
albeggia ed io mi ritrovo a pensare - che fascino svegliarsi presto - , ma forse sono solo illusa, se lo dovessi fare ogni mattina cambierei presto idea. chissà.
il treno è caldo e non molto affollato. mi accoccolo su me stessa tentando di dormire un poco, ma l'adrenalina e mille pensieri non mi lasciano riposare.
ripasso mentalemente la musica, i tempi, le parole.
mi sento bene, forte e sicura.
cambio del treno.
scendo a milano rogoredo. la stazione è affollata, pendolari su tutti i binari.
un po' confusa mi metto in attesa sul binario del mio prossimo treno.
annunci di autoparlanti rapidi, ritardi, binari, orari.
ecco il treno.
salgo serena ma ancora un po' stropicciata dalla levataccia, tolgo il cappotto e mi siedo distratta guardando fuori dal finestrino.
milano lambrate? milano centrale?
che succede? direzione contraria, treno sbagliato!
ma come mi è potuto accadere?
viaggio da 15 anni sui treni, su queste stesse stazioni, ma non mi era mai capitato prima di confondermi a tal punto.
agitatissima inizio a telefonare ad amici e parenti che potrebbero essere davanti ad un computer per trovarmi una strada alternativa per arrivare all'appuntamento senza accumulare un ritardo estremo.
scendo in centrale e riorganizzo un viaggio di emergenza.
l'adrenalina di partenza si è trasformata in panico e agitazione pura.
arrivo. arrivo in teatro mezz'ora prima dell'inizio dell'audizione.
scompigliata, sudata, stanca e affamata.
i camerini di prova sono tutti impegnati, ascolto attraverso le pareti sottili i miei colleghi scaldare la voce e ripassare punti difficili delle loro arie.
proprio accanto al mio una giovane e bella voce ripassa il ruolo per cui anche io mi sono presentata.
chissà quante ne ascolteranno insieme a me, prima di scegliere la loro Papagena...
acconcio i capelli in modo da sembrare più elegante e slanciata.
ma quasi quasi non mi importa nulla di come apparirò. mi sembra di essere dentro ad una nuvola di incertezza e di avere i piedi nell'acqua. cammino e affondo. mi passano accanto altri cantanti, belli eleganti e carichi e mi parlano, salutano, si informano. io rispondo a monosillabi e tengo un sorriso aperto sul viso per non apparire una scontrosa smorfiosa.
sono solo un po' fuori di me.
il tempo vola e la fame mi sembra essere la preoccupazione più impellente. ma non posso uscire per procacciarmi cibo! potrebbero chiamarmi in ogni istante per la mia audizione.
ascolto una regina della notte, dalle quinte del palcoscenico dove attendo il mio turno, svettante energetica e virtuosa. evviva. che musica mozart...
ecco, tocca a me. sciabatto fin sul proscenio del teatro vuoto, illuminato a giorno. graziose le poltroncine in velluto che mi sorridono tutte insieme! la commissione è seduta lontana ed io senza occhiali riesco giusto ad intuire che sono tre e al centro c'è una donna.
- buongiorno, cosa ci fa ascoltare -
mozart. solo mozart. tutto mozart. naturalmente mozart.
ma l'esordio non è dei migliori, il mio primo acuto risulta sfibrato e un po' afono.
tiro dritto.
il pianista, con cui non ho avuto nemmeno il tempo di provare, mi segue molto professionalmente.
ascolto incredula la mia voce. ma questa sono io?
questa è la mia prima audizione dopo due anni e mezzo (in cui è passato un treno di nome N. che ha schiacciato tutto e tutti con le sue pretese da neonato).
non sono più allenata alla fatica delle audizioni.
per questo sono così confusa.
e stanca e annuvolata.
ma nello stesso tempo avverto una libertà fuori dal comune. libertà di essere come sono. sbagliata, confusa, allegra e fuori di testa.
brava e non brava.
bella e brutta.
vestita un po' senza senso, con gli stivaletti comodi bassi ma non eleganti.
e per la prima volta me la godo.
mi godo il fatto di essere lì, anche per soli tre minuti, ad ascoltare la mia voce vibrare dentro il teatro e libera di sbagliare, di muovermi, ridere se lo volessi, salutare e andarmene.
infine eccomi in stazione dove attendo almeno due ore il treno di ritorno.
ma a rogoredo mi succede di nuovo! Ma come è possibile?
Annunciano il mio treno ed io salgo per errore su quello che mi riporta da dove sono appena partita.
Sgomenta scendo alla prima fermata, già piuttosto lontana da dover riorganizzare il ritorno a rogoredo e poi un altro treno per la mia città.
Chiamo in lacrime casa. Ma come è possibile essere così distratte?
Mi tranquillizzo un poco e asciugo le lacrime. Avrò gli occhi lucidi per un po’. Non importa. Mi cala addosso una tristezza senza fine. Attendo senza energia i treni che mi riporteranno sulla strada giusta e calcolo quante ore mi è costata la mia prima audizione dopo tanto tempo.
14 ore.
Sono svuotata e stanca.
Come è possibile aver ripetuto lo stesso errore nella stessa giornata alla stessa stazione dei treni?
Che avessi bisogno, per una volta, di evadere dal mio mondo?


p.s. chissà cosa è arrivato di me alla commissione… di certo ho appena saputo che la loro Papagena in autunno sarò io!


ANIMA PERSA

sento una voce di donna, incerta.
mi chiama.
"scusi, signora, scusi..."
alzo gli occhi verso il palazzo stretto nei vicoli del centro storico.
una signora anziana dalla finestra del primo piano mi chiede sommessa e sperduta "scusa, ma è giorno o è notte?".
Sorpresa perdo qualche istante prima di rispondere, poi le dico gentile " è sera, signora...". stringo forte la manina di mio figlio che mi trotterella accanto e con una sensazione smarrita mi allontano.
Qualcosa però rimane ad agitarsi nel cuore.
un vuoto che sento crescere e un'ansia che forse dovrà trovare una risposta.
domani. domani ripasserò da sotto quella finestra.
e spero di avere la fortuna di poter fare qualcosa di più che rispondere ad una domanda bizzarra.


NEVE E TEATRO

venerdì ero a Milano sotto la grande nevicata.
fiocchi come palline di cotone e quel silenzio surreale che solo la neve può creare.

piccolo teatro sperimentale, con appena 40/50 posti a sedere ed io nel mio abito da regina delle nevi.
(ho fatto la fantasia di uscire nel cortile e aprire le braccia e la bocca per fare entrare tutto quel bianco, lasciarlo scivolare dentro e addosso.)

Ho messo le calze ad asciugare sul termosifone
che il pubblico guardava e fingeva di non vedere.
ed io ridevo tutta, dentro il mio abito bianco.


IN SAUNA

lui sembrava rilassato e pienamente consapevole del luogo e del momento.
invece io mi sentivo ciarliera.
"è stato lei a cambiare la pila dell'orologio? sa, fermo da quasi un anno, che se aspettiamo che la cambi il padrone, qui..."
"ah, nella sua bottiglietta c'è dell'eucalipto, anche io mi ero portata una fialetta, ma la conservo per la prossima volta..."
"eh, fuori è tanto freddo... sarà per questo che non sudo?"
"acci... 80 gradi.. ma dai...non l'avrei immaginato..."
"guardi un po', il piede destro si rifiuta di sudare. ma quello sinistro!.. ahah, si sta sciogliendo!... vede quel rivolo che scende fino a terra..buffo, no?."
"ma lei quanto tempo sta qui... voglio dire, mah, saranno quasi tre anni che non faccio una sauna, mi farà male?... dieci minuti basteranno?..."

ebbene si, come direbbe mie sorella. posso essere una stritazebedei senza precedenti.

pover'uomo...
e poco ci mancava che gli chiedessi se possedeva un blog tutto suo!


SARCASMO

mio nonno, che non è più qui con noi da tanti anni
usava dire alle suore, a bruciapelo, quando le incontrava per strada:
" buongiorno Sorella. Lei ha fatto felice un uomo... quello che non ha sposato!"
e tutto divertito tirava dritto.




COMINCIAMENTO PRIMO

che strana la sensazione di questa mattina.
io qui, sola di fronte al mio schermo e dentro, nascoste ma così vive milioni di persone che brulicano, lavorano, scrivono, leggono, ascoltano, si commuovo e si arrabbiano, si innamorano e si lasciano.
e qui è così freddo.
provo a toccare lo scermo con le punta delle dita, come a volere entrare. mi ricordo di Alice attraverso lo specchio. ritiro la mano velocemente.

Questa mattina sono stata in un negozio bello di abiti da donna nel centro storico.
Commessa carina, occhi chiari.
Timidamente le chiedo la possibilità di mostrarle le collane che faccio in pietre preziose.
premetto. non è il mio lavoro. nè di fare collane, nè di fare la rappresentante.
ma negli ultimi mesi lavorare alacremente con le mani, infilare perline, stringere nodi e sorridere alla fine del lavoro per il piccolo prodotto creato mi ha ridato la quiete che mi mancava.
chissà se posso far fruttare, quasi per gioco, l'attività che mi ha aiutata a non diventare pazza in questo nero periodo?
titubanza e timidezza da una parte, diffidenza ma curiosità dall'altra.
espongo una alla volta, come se facessi uscire dalla borsa ogni collana con mille manine dentro che ancora stanno finendo, stringendo, rassettando.
e poi sorrisi e gentilezza.
si, forse. ne parliamo fra qualche giorno.

esco dal negozio e respiro con la bocca spalancata. che freddo, ma c'è il sole e chisseneimporta se mi becco il maldigola.
è tutta questione di simpatia.
e di empatia.

era lei carina.
lei aperta e gentile.
accogliente a modo suo.
quasi che mi veniva da chiederle di uscire per un caffè.

questione di empatia. e di umanità.

ieri sera avevo fatto lo stesso in un altro negozio.
la titolare antipatica e megera mi ha fatto sentire come una mendicante.
sguardo storto.
mai un sorriso.
fino ad un attimo fa avrei voluto scrivere di lei cattiverie.
ora vedo solo tristezza e infelicità.

mi dispiace per lei.

forse potrei passare ogni tanto dal suo negozio affacciami alla porta e salutarla con un gran sorriso.
chissà se la felicità si produce per allenamento di mascelle e si contagia per imitazione...


DOLCE COMINCIAMENTO

Dolce cominciamento,
in punta di piedi e timidamente.
e mille domande senza risposta, per ora.
che succederà? leggerà qualcuno questo post? ma come potrà accadere?

Nessuna pretesa - o forse troppe, da dovere decidere sul nascere che non ne ho e che il cuore non sta affatto battendo -, solo qui in silenzio e in ascolto...

Via, piccola sbavatura di me, vola nel cyberspazio!
e buona fortuna.

1 commento:

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