lunedì 22 agosto 2011

l'arte della fuga

temevo di annoiarmi.
che non fossi più abituata a certi concerti impegnativi.
invece no.

di fatto quasi due ore di musica sono scivolate senza la minima fatica, anzi, con una tensione interna che aveva dell'incredibile.

"l'arte della fuga", o meglio, ai miei orecchi "l'arte della fluidità, dell'intreccio immateriale, del sospiro, della foga, del divino".
aveva un che di taumaturgico essere lì ed ascoltare i musicisti eseguire Bach.
erano belli, trasfigurati nell'arte del suonare.
la luce usciva dal loro corpo, dal loro interno - non dai faretti che avevano sull'americana sulle loro teste.
li guardavo rapita e dovevo trattenere un istinto atavico, con cui spesso combatto, di unire la mia voce alla loro musica.
mi mordevo la lingua per non rischiare di cantare, da sotto, seduta tra il pubblico, estranea tra gli estranei.
mi sono stupita che, mentre alcuni di loro eseguivano uno o più brani, gli altri a riposo tenevano (tutti) gli occhi chiusi.
ed io che invece li avevo spalancati mi sono domandata che significato potesse avere.
per cui, forzandomi un poco ho serrato gli occhi e come per magia la musica si è amplificata; riuscivo a distinguere bene le entrate dei singoli strumenti e potevo capirne gli intrecci.
la concentrazione era univoca unilaterale.
li ho riaperti quasi subito, però, perché la vista di chi in quell'istante produce il suono e plasma la musica è molto più interessante.
essere tutt'uno con uno strumento; chissà se è come per me che sono un tutt'uno con la mia voce.
si. certamente.
e chissà com'è dare voce al violino, al cembalo, alla viola da gamba e non dare voce alla voce.
la musica esce dalle dita, dalle braccia, non dalle corde vocali...

ascoltavo Bach e pensavo a cose antiche, che a volte dimentico.
mi sono ricordata di quando da poco trasferita a Milano, da studentessa, cercavo una casa da condividere.
e che avevo risposto ad un messaggio di una ragazza che cercava una inquilina.
ricordo che mi presentai nella casa dove lei già abitava e che aprì la porta; indossavamo la stessa camicia indiana, lei bianca ed io blu.
ci siamo guardate con stupore.
ci chiamavamo allo stesso modo: laura.

abbiamo vissuto insieme due anni.
due anni dolci e dolorosi.

Bach era già parte di me, allora.

ma a volte lo dimentico.
e allora bisognerebbe ricordarsi di andare più spesso ai concerti (e a teatro off course).

non dimenticare che la musica, questa musica nutre l'anima.
e la mia anima ne aveva un bisogno che non potevo nemmeno immaginare.







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