Sto passando più tempo sui treni che a casa.
Sono stanca. Morta.
Un mese a Firenze per cantare (per la prima volta al Maggio
Musicale fiorentino. Inchino.)
Abito in una casa piccola e lunga e stretta che fa tenerezza.
Ho comprato due pacchi di pasta e una bottiglia piccola di
olio extra vergine d’oliva.
Ma la carta igienica no: ho deciso di portarla da casa.
E così ora sono in viaggio con due borsoni che rimangono
mezzi aperti da cui spunta un bel rotolo bianco inequivocabile.
Ho visto sguardi allegri sbirciare il cilindro lungo e
morbido.
Ne ho visti un paio invece molto contrariati (signora, ma
che fa? Si vergogni!).
Una mamma mi guardava e cercava attorno a me il figlio
annesso.
Invece il figlio, ahimè, sarà tutto il mese a casa con suo
padre.
Oggi l’ho rivisto dopo 12, dico 12 giorni esatti in cui
siamo stati lontani l’uno dall’altra.
Sono andata a prenderlo alla scuola materna in anticipo.
Giocava in cortile con i suoi compagni.
Mi ha visto ed è corso da me.
Si è lasciato abbracciare, ma in modo pudico e trattenuto, girato
di spalle.
Ed io con il mio braccio lo avvolgevo da dietro.
La mia mano appoggiata al suo cuore l’ha sentito correre
come un cavallino e i miei occhi si sono riempiti di pioggia.
Mi emoziono con nulla.
A Firenze sono capitata a mangiare in un ristorante
particolare: i ragazzi di sipario.
I ragazzi in questione hanno problematiche di vario tipo,
ritardati, con sindrome di down, e altro.
E fanno i camerieri, i cuochi, gli aiuto cuochi, supervisionati
da due dolci ragazze che sanno cogliere ogni loro tentennamento e li aiutano a
riprendere il giusto corso.
Un ragazzo dal passo incerto e lo sguardo liquido è venuto a
prendere la mia ordinazione; ha atteso che io compilassi un foglio prestampato
e poi molto contrariato non voleva ritirarlo a causa di una mia imperfezione.
Diceva “non mi ritorna, non mi ritorna.” E sarebbe andato avanti chissà quanto,
forse all’infinito, se non mi fossi alzata e avessi raggiunto la tutor per
chiarire che non sapevo in anticipo se avrei preso la frutta o il gelato!
Poi al mio tavolo solitario ho attirato il mitomane del
momento, ma questa meriterebbe un capitolo a parte per raccontarlo (ah ben ben,
lei canta – ahimé si, attendendo gli spaghetti avevo aperto lo spartito per
ripassare alcuni passi – ah, dunque, posso sedermi, ma lei dove lavora. Ben ben,
e conosce mia moglie… no? Ma era famosissima. Conosce Zeffirelli. Ben ben. Ah,
si ha cantato in Scala. ah ben ben, allora è brava… e conosce Carla Fracci? Ah,
no? ben ben, allora ora la chiamo e gliela presento. Si si, mi faccio prestare
il telefono, qui mi conoscono tutti. Si… pronto? Mi passa Beppe – con una mano
sulla cornetta mi dice con fare ammiccante “è la governante” – ah, non è in
casa, allora riproverò. Ben ben, non erano in casa. Ma venga venga a mangiare
qui, io sono sempre qui. Venga venga. Ma quando ha finito è libera? No? Mi
dispiace, l’avrei portata a casa mia a farle vedere i lavori di mia moglie. Ben
ben, ma la porto la prossima volta…)
Peccato. Non ci sarà una prossima volta. È bastata e
avanzata la prima.
Peccato perché l’incespicare delle menti un po’ annebbiate
dei ragazzi del sipario mi andavano a pennello in questi giorni di frenesia.
Fra poco cambio treno a Pisa e il cielo fuori dal finestrino
si sta oscurando velocemente.
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